Pietro e Paolo

di Marcello Fois

Marcello Fois ci racconta dell'amicizia.

“Pietro e Paolo erano dello stesso anno: 1899. A poco meno di un mese di distanza l’uno dall’altro, eccoli nel mondo: bocche da sfamare, cose da insegnare, domande a cui rispondere. Nati diversamente, certo, come succede nelle storie dei libri: il principe e il povero, insomma.”

 

Pietro, figlio dei servi e Paolo, figlio del padrone.

 

“Vindice Carta, padre di Pietro, curava i terreni dei Mannoni a Lollove. Vindice era stato rilevato con i terreni. E Pietro anche, visto che più di una volta il padre se lo portava dietro in campagna a sfienare o a fare olive quando l’annata lo permetteva.”

 

“Capitava che Pietro passasse più tempo a casa Mannoni che a casa sua, e questo perché a Paolo dispiaceva staccarsi da quel compagno di giochi che non era nient’altro che un animaletto domestico su due zampe.”

 

“In certi pomeriggi assolati sembrava che i corpi di Paolo e Pietro volessero contraddire sé stessi. Nonostante fossero esili come giunchi si spingevano al limite della resistenza, correndo finché potevano respirare; spintonandosi in ogni momento, che salissero, scendessero o, semplicemente, andassero.”

 

“Paolo non doveva sudare, e no certo per rispetto delle convenzioni, ma perché, si diceva, era di complessione cagionevole.

Pietro era forte come un cucciolo di muflone. Aveva le piante dei piedi coriacee, poteva arrampicarsi sulle rocce e attraversare campi torridi, disseminati di rovi, senza nemmeno ferirsi.”

 

Paolo insegnava a Pietro a leggere e scrivere. Pietro insegnava a Paolo le regole della natura: camminare su un tratturo ripido, scoprire una tana di volpe, arrampicarsi su un albero, in quella Sardegna selvaggia dove gli era capitato di nascere.

 

“Annica, la governante dei Mannoni, sosteneva che stare al proprio posto poteva significare a volte far parte di una esistenza senza farne parte, e persino vivere in un ambiente senza viverci. Casa Mannoni non era la vita di Pietro. Annica voleva che non si illudesse, come era successo a lei quando a undici anni era stata messa a servizio.”

 

Ma la vita a un certo punto presenta il conto, e così Don Pasqualino, padre di Paolo, manda a chiamare Pietro.

 

“- Tu hai fede? – aveva chiesto a un certo punto Don Pasqualino - All’amicizia, - pareva riflettere Pietro. – All’amicizia sì.”

 

Paolo è stato chiamato alle armi, e Don Pasqualino vuole che Pietro si arruoli come volontario per sorvegliare e proteggere l’amico fragile.

Ma la guerra sconvolge ogni equilibrio, distrugge qualsiasi certezza e qualsiasi legame.

 

Cosa è accaduto in quei momenti terribili? Riuscirà Pietro a mantenere la promessa?

 

Finita la guerra Paolo manda a chiamare Pietro, ormai sono uomini fatti.

 

“Pietro ora avanzava con certezza: il passo giusto, il respiro giusto. Sapeva di rischiare.”

 

E mentre camminava nel tratturo che da Lollove porta a Nuoro, ha delle visioni, “anche se lui, Pietro Carta di Vindice, sapeva di non essere qualcuno che potesse farne tesoro. Arrivavano e sparivano, infatti. S’infilavano nei recessi più profondi del suo essere, totalmente inutili. Avrebbe voluto essere scrittore, o poeta, o pittore, per poterle raccontare, evocare, rappresentare, ma era solo un bandito. E aveva appena vent’anni.”

 

“Aveva capito negli anni della latitanza con quanta semplicità si possa sparire dallo sguardo altrui. Aveva capito quanto conti la certezza del passo, la franchezza dello sguardo, per riuscire a essere completamente invisibile.”

 

“Di lui dicevano che era sempre stato particolarmente testardo. Non come il fratello maggiore Francesco, che lavorava a testa bassa e mai un lamento. Di Francesco si diceva con orgoglio che era stato forgiato bene: tranquillo, obbediente, lavoratore. Ma Pietro! Lui già dalla gravidanza aveva chiarito di che pasta era fatto: ingestibile, per conto suo.”

 

L'amicizia tra Pietro e Paolo deve fare i conti con le vicende della vita e con la lealtà di ciascuno, e alla fine, riusciranno a salvarla?

 


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